domenica 15 giugno 2014

Roadhouse - Roadhouse

Storia di band dall'enorme potenziale, artistico, e commerciale, sacrificate sull'altare del music business per motivi apparentemente inspiegabili. 
Si, ci risiamo un'altra volta: anno di grazia 1991, anche la scena musicale inglese stava letteralmente mutando la sua fisionomia, così come stavano cambiando i gusti musicali di molti degli appassionati dell'epoca, nonostante la rivista Kerrang accogliesse con grande entusiasmo tutto quello che proveniva dalle natie sponde, già, anche se, con i qui recensiti Roadhouse, il gioco era facile, anche perché, non solo i nostri possedevano tutti i numeri per poter fare bene sulla lunga distanza, ma potevano contare sull'apporto del talentuoso chitarrista Pete Willis, proveniente niente meno che dalle fila dei Def Leppard dei quali, per tempo, era stato uno dei principali songwriter.

Allontanato dalla band madre per problemi legati all'alcolismo, proprio durante le sessioni di registrazioni di “Pyromania”, sostituito dall'altro pezzo da novanta a nome Phil Collen, dopo una breve ed infruttuosa parentesi fra le fila dei Gogamog, sorta di big band che comprendeva alcuni ex Maiden, il buon Pete mise assieme la prima formazione dei Roadhose, avvalendosi di alcuni musicisti di provata esperienza provenienti dalla sua Sheffield, come il drummer Frank Noon ed il talentuoso vocalist Paul Jackson, con i quali registrò delle demo che, nel giro di qualche mese, gli fecero ottenere un contratto con la major Vertigo, la stessa che all'epoca aveva sotto contratto proprio i Def Leppard.
Nonostante il moniker ed il lavoro d'artwork possano far pensare di trovarci di fronte ad una band sullo stile degli ZZ Top, la componente musicale dei Roadhouse è invece orientata su sonorità molto più raffinate, a volte quasi pompose, poste al limite fra modulazioni melodiche, echi radiofonici, ed arrembanti locuzioni hard rock, in un meltingpot di umori e sensazioni, esternati con classe ed eleganza, da un manipolo di musicisti artisticamente dotati, che sapevano come arrivare al cuore dell'ascoltatore. 
Presupposti questi per un album sui generis, con almeno quattro/cinque episodi sopra la media, su tutte le leppard-iana “All join your hands” e “Tower of love”, entrambe caratterizzate da suadente partiture musicali, ottime porzioni strumentali, ed incalzanti hooks melodici, l'incipit edulcorato della ballad “Hell Can Wait”, resa ancora più emozionante dalla performance canora di un singer di razza, l'hard rock di “New Horizon” dotato di uno splendido inciso, o il torrenziale ed infuocato rock blues di “Lovin you”, episodi questi che fanno di questo disco un potenziale scrigno dei tesori per gli amanti di band come Dare, FM o Firehouse.
La band ebbe ancora il tempo di pubblicare una manciata di singoli, e di effettuare un paio di tour come opening act di Saxon e della Gillan band, per poi venire inghiottita nel nulla. 
Il vocalist Paul Jackson è l'unico ad essere rimasto in attività dopo tutto questo tempo, mentre il buon Willis si è ritirato a vita privata, e dal 2003 non compare più in pubblico....
Un peccato, un vero peccato....
(Beppe Diana)


Genere: Melodic hard rock
Label: Vertigo
Anno di pubblicazione: 1991


Line up:
Paul Jackson - vocals
Pete Willis - guitar
Richard Day - guitar
Wayne Grant - bass
Trevor Brewis - drums


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