martedì 4 febbraio 2014

Keel - Keel

Volete un album che riassuma nel suo insieme tutta la spensieratezza e la gogliardia degli anni Ottanta con l'essenza vera e pura del sound americano di quel magico periodo? Lo avete trovato se riuscite a mettere le mani su una copia di questo Keel dell'omonima band statunitense. Un vero e proprio manifesto sonoro di un'epoca questa quarta prova da studio degli americani Keel è il classico esempio del disco da possedere a tutti i costi e da assaporare brano dopo brano, passaggio dopo passaggio, da amare visceralmente e con passione. Formati attorno alla figura carismatica del poliedrico vocalist Ron Keel, con un passato trascorso negli Steeler accanto al semi-dio svedese Malmsteen, atorno al quale si raggruppano una serie di musicisti di assoluto valore e spessore artistico come nel caso del funambolico guitar player Marc Ferrari, i Keel di quest'omonimo parto discografico, riuscirono a ribadire, ed in maniera alquanto eclatante, quanto di buono avevano precedentemente profuso con il tanto famigerato Final Frontier, album che vedeva alla produzione l'enigmatico Gene Simmons, bass player del "bacio" per antonomasia che, oltre ad occuparsi del lavoro dietro alla consolle, aveva portato la band alla corte della potente major MCA.
Ed è proprio per la MCA, o meglio per la Gold Mountain sussidiaria della più celebre casa discografica, che viene rilasciato questo ennesimo platter, un master che mette in fila una manciata di song anatemiche dotate di chorus mozzafiato, refrain imperdibili per ogni amante del class metal a stelle e strisce, ed una produzione pulita e speculare ad opera del mago Micheal Wagener, che oltre a risaltare le doti compositive dei musicisti chiamati in causa su questo disco, spinge la band a toccare vertici compositivi davvero inarrivabili. Ed è proprio seguendo questo iter che vengono forgiate song dall'enorme potenziale commericale come l'opening track United Nation, heavy rock song pervasa da un chorus a dir poco esemplare e da un crescendo da infarto, l'adrenalinica "It's a jungle out there" o la più catchy Somebody's Waiting che, come la frizzante e saetante Don't Save You Love Me, vengono addirittura prese in prestito dal repertorio degli sfortunati Surgin della coppia Ponti/Arcara, l'up tempo King of the Rock dotato di guitar lick a dir poco eccelse, per passare dalla delicata e suggestiva ballad Calm Before the Storm, fino a giungere alla soglia della più esaustiva e patriottica 4th of July che comunque chiude alla grande il platter.

Con l'abbandono forzato del mitico Marc Ferrari in favore dei nuovi Cold Sweet, la band avrà solo il tempo di registrare un live estemporaneo con una formazione del tutto rivoluzionata, per poi far perdere le sue tracce per un lungo decennio risoltosi con il come back intitolato solamente VI solamente lontano parente di questo entusiasmante platter finito ben presto, come spesso accade anche alle cose migliori, nel dimenticatoio e sugli scaffali degli usati in men che non si dica. Assieme a Dangerous Attraction e Under Lock and Key, questo Keel forma il triumvirato del class metal che conta e se non ci credete, provate a chiedere in giro.

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