martedì 4 febbraio 2014

Dan Reed Network - Dan Reed Network

“Prodighiamoci affinché non ci siano più muri fra di noi”!!!
Uno slogan da adottare per impegnarsi a lottare contro ogni forma di razzismo e di diversità fra le diverse etnie del genere umano, usando l’enorme potere divulgativo della musica come unico viatico, un’utopia? No, se solo avete provato ad ascoltare almeno una volta i Dan Reed Network da Portland.
Una formazione questa, che faceva della diversità il proprio punto di forza, riunendo sotto un’unica bandiera, un manipolo di ottimi musicisti provenienti da diverse etnie, e da altrettanti percorsi di formazione artistica, e che, proprio da questo incontro di background musicali ed umani alquanto eterogenei, traeva spunto per dare vita ad un percorso sonoro incentrato su una certa creatività, che li rendeva unici in campo prettamente musicale, grazie ad una policromia di suoni totalmente liberi da restrizioni e da preconcetti di sorta, un incrocio nel quale confluivano elementi che arrivavano in egual misura sia dal funky, che dal rock più melodico e radiofonico, che dalla black music di scuola prettamente anni ’70, e che, naturalmente, portavano in dote un melange di alchimie ritmiche sensuali ed al contempo inebrianti, alle quali era impossibile sottrarsi.
Già, provate ad immaginare una sorta di collage sonoro che in qualche modo riesca a raccogliere le influenze esercitate dai vari Prince, Bon Jovi e Living Colour, ed avrete solo un piccolo immaginario di quello che si cela dietro al loro primo step discografico dei nostri, un piccolo capolavoro, prodotto magistralmente dal grande Bruce Fairbrain, all’epoca vero deus ex machina degli stessi Bon Jovi, l’unico capace d’infondere il giusto appeal alla grande mole di influenze musicali che si canalizzava all’interno di queste dieci splendide tracce che, oltre a poter contare sulla forza trainante di un autentico tormentone da classifica, il vero capolavoro del disco a nome “Ritual”, un brano dotato di modulazioni ritmiche e di una verve strumentale davvero disarmante, provate a guardare il video su youtube, e poi mi saprete dire, poteva contare su composizioni dal potere esplosivo come ad esempio l’adrenalinica “I’m so sorry”, brano che in qualche modo riassumeva al meglio il melange creato dalla band americana, o la più melodica “Resurrect”, caratterizzata dalle tastiere del maestro Blake Sakamoto, ex Dear Mr. President, sempre in netta evidenza.

Ed è proprio l’immane lavoro del maestro dai tasti d’avorio, a caratterizzare il suono della band statunitense, e a spingerla verso territori sempre più radiofonici, proprio come accade nel caso della provocante “Human”, o come nel caso di “Rock all night away” che, invece, si permea attorno a sonorità che conducono ad atmosfere cariche di un funky rock allo stato puro, ma è proprio quando le atmosfere si fanno più soffuse che i Dan Reed Network colpiscono al cuore come un fendente, e se “Alfway around the world”, è semplicemente splendida nel suo incedere soffuso e delicato, la superlativa “Tatiana”, breve interluio a cui tocca chiudere alla grande il disco, è un altro fendente al cuore!!!

Il primo di un trittico fenomenale di dischi al quale seguiranno gli ottimi “Slam” e, soprattutto, “The Heat”, album che aumenteranno il grande rimpianto nei confronti di questa geniale formazione che, nel giro di qualche anno, si perderà nella baraonda di una scena musicale sempre più asettica ed abulica, lasciando ai posteri qualche raccolta antologica ed un live di poco conto.
Dan Reed Network, per tanti ma non per tutti!!!!”

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